Introduzione.

Maurizio Bettini (2002), studioso di antropologia culturale greca e romana, sostiene che il concetto di ‘identità’ veniva espresso dai Romani attraverso i termini “notitia” e “cognitio” (Faccio & Salvini, 2007). Ciò che oggi conosciamo con il nome di “identità”[1] era considerato come esito di un processo di “accertamento” e “riconoscimento” di sé da parte di un’altra persona, e a partire dalla sua stessa presenza. In questo senso, come suggerisce Elena Faccio (2007), l’identità non era considerata come una proprietà privata e intrinseca dell’individuo, ma come il “riflesso di un atto sociale”, ovvero come il prodotto di un’interazione che nell’incontro con l’altro poteva “offrire alla persona garanzia del suo essere lui o del suo essere lei” (p. 70). Nonostante, solitamente, il termine identità venga oggi utilizzato con il significato letterale di “idem identitas”, ovvero come modo d’essere di un individuo, stabile nel tempo e a prescindere dalle situazioni, dai ruoli e dagli interlocutori coinvolti, il contesto virtuale ci permette invece di ri-attualizzare le sfumature interattive e relazionali proprie e originarie di tale espressione e da qui fare delle considerazioni che si andranno a definire come cliniche.

Il virtuale come laboratorio di possibili configurazioni di sé

A partire dal momento in cui un utente, da “offline” diventa “online”, entra in un contesto interattivo dove comincia ad assumere una o più specifiche identità, riconoscibili (notitia) e accertabili (cognitio) da sé stessi e da un pubblico. La stessa possibilità di accedere a internet è infatti resa possibile dall’attribuzione di un’etichetta numerica, I.P., che identifica in modo univoco, come una “targa identitaria”, il dispositivo con il quale un utente si connette in rete. Ancora, si definisce “identità digitale”, l’assegnazione di specifiche credenziali da parte di un sistema informatico, per essere ‘riconosciuti’ e accedere a determinate informazioni e risorse multimediali. “Chi sono io?” diventa quindi una domanda che nel contesto virtuale ha già a disposizione una molteplicità di risposte che non si esauriscono in un indirizzo I.P. o con uno username e una password, ma che possono comprendere parti di sé relative, come ad esempio, l’essere un utente di un “social network”, un fan di un personaggio pubblico, un influencer o uno youtuber. Questi ruoli funzionano come “specchi identitari” in cui la persona ha la possibilità di riflettersi per riconoscersi e farsi riconoscere dagli altri (notitia), ma anche per conoscersi (cognitio) interpretando nuovi modi di esprimersi in rapporto agli altri utenti. I contesti virtuali mettono infatti a disposizione dell’individuo molteplici strumenti su cui forgiare, sperimentare e monitorare diverse possibilità identitarie. In un click è possibile partecipare a un gruppo di discussione internazionale su temi a cui si è deciso di iniziare ad interessarsi; con un tap su uno schermo è possibile in pochi secondi valutare l’effetto (desiderato) di cambiamenti legati alla propria identità corporea; è possibile anche renderli pubblici per studiare la reazione degli altri e con un invio rendere online un avatar creato ad hoc, sulla base di ciò che si vorrebbe essere, per interagire con altre persone. In questo senso, la risposta alla domanda “chi sono io?”, può allora essere desunta anche da ciò che una persona scrive in un post, dal testo dei propri commenti, dalle foto o video che pubblica o dalla messe in rete dei propri interessi o successi lavorativi/personali.

Identità come un prodotto di un processo interattivo: dall’online all’offline

Le persone, tanto online quanto offline, sono infatti attivamente impegnate nella scelta di quali configurazioni di sé mostrare e far (ri)conoscere agli altri. Con una metafora si potrebbe dire che un utente di internet, come l’uomo della strada, è impegnato in un processo di “cosmesi identitaria” in cui tenta di “truccare” e controllare ciò che gli altri potrebbero dire, cercando di mimetizzare i segni che si discostano da ciò che si intende far conoscere agli altri ed enfatizzando ciò che intendiamo esprimere agli occhi degli altri. Non solo, come sostenuto da Boccia Altieri (p. 124, 2017), nei social network si assiste anche al paradosso per cui l’utente si trova a dover gestire il proprio profilo personale impegnandosi a dimostrare di essere autenticamente sé stesso in una presentazione di sé credibile agli occhi degli altri.

Pur considerando che, dal momento stesso in cui una persona accede a internet, lascia “un’impronta digitale’’ della propria identità (Bormetti, 2019), nel contesto virtuale si ha proprio la percezione di poter controllare quali configurazioni di sé far emergere e quali tacere: dalla scelta accurata di quali video condividere online, al processo di costruzione del proprio profilo social fino anche alle “pagine”, “profili” o “chat” seguiti che a loro volta diventano un’informazione pubblica e quindi un altro elemento che può raccontare di sé stessi e quindi da gestire ed eventualmente manipolare per rapportarsi agli altri. D’altronde, tornando nuovamente allo studio delle radici etimologiche delle parole, lo stesso termine “persona” deriva dalla lingua latina ed era utilizzato per riferirsi alle maschere che gli attori utilizzavano a teatro per stare in scena. Adoperando quindi una metafora teatrale, questo significa che il processo di “riconoscimento” e “accertamento” della propria presenza online e offline, è mediato dal pubblico al quale ci si anticipa di rivolgersi, dal copione delle proprie intenzioni, dal modo in cui si vuole apparire e dal modo in cui si intende confermare l’immagine che si intende offrire, così come dal contesto della rappresentazione sociale a cui si partecipa e i rituali concessi al proprio ruolo.

Sia online che offline nel momento in cui, ad esempio, si sceglie “chi essere” in una situazione o come interpretare un ruolo in un contesto sociale si opera comunque una scelta: a diversi livelli di intenzionalità si mette in scena quel modo di esprimersi che si ritiene più coerente e adeguato a legittimare alcune possibilità di azione piuttosto che altre. Identità diventa quindi un modo di essere e di fare percepito come stabile nel tempo, come una  “bussola” che consente di orientare, ampliare o ridurre le proprie possibilità biografiche.

Identità e implicazioni nella clinica

Proprio a partire da queste riflessioni e a maggior ragione dopo aver discusso di identità nella sua qualifica “digitale”, siamo nelle condizioni di condividere alcune conclusioni “cliniche”, a partire, ancora una volta, dal senso etimologico nel quale affonda le proprie radici concettuali il termine “klinikos” ovvero “movimento verso” l’altro. Un “movimento” non verso il “klinè” o letto di un ipotetico malato ma generativo e sostanziato da considerazioni di cui il lettore possa appropriarsi per orientarsi negli interrogativi su di sé e per perseguire nuove rotte di cambiamento.

In questo senso e a partire dai ragionamenti offerti, considerare l’online come “un laboratorio di possibili configurazioni di sé” o come “palcoscenico teatrale” può consentire di utilizzare il contesto virtuale come occasione per sperimentare nuove identità. Ancora, mettersi nelle condizioni di poter osservare il modo in cui è agita la propria presenza online diventa l’occasione per mettersi, nella metafora, dalla parte del “pubblico” di chi sta guardando la propria rappresentazione sociale e quindi l’opportunità di provare a riconoscere quale immagine di sé si sta mantenendo e in che modo.

“Chi sono io?” diventa allora una domanda che online come offline può avere molteplici risposte: tutte possibili e sebbene anche contradditorie, tutte vere. Una domanda che laddove venga esaurita con una sola e cristallizzata risposta come ad esempio “un utente di internet”, “una persona che è fatta così”, “un videogiocatore” o “un fallito” potrebbe non consentire di vedere altre possibilità da quella già stabilita dalla risposta e ricondurre a sensazioni quali bisogni di crescita personale o di cambiamento radicale che si ritiene di non poter riuscire a gestire da soli; una domanda quale “chi sono io” che laddove produca anche una “non risposta” potrebbe aprire lo spazio per vissuti che per senso comune definiremmo di smarrimento o del non saper più chi si è.

In psicologia e ancor più in un colloquio clinico, la prima grande risposta non sono le risposte ma nuove domande (Baciga & Fenini, 2019). Se allora si è condivisa una traccia concettuale che consenta di cogliere l’utilità di concepire l’identità nella sua dimensione processuale e interattiva, quanto online tanto offline, si è nelle condizioni di cogliere un altro importante “movimento” che si vuole offrire e teso a costruire nuove domande per nuove risposte: i post che pubblico quali credenze su di me vogliono mantenere agli occhi degli altri? Cosa desidero poter dire di me a partire dai commenti che pubblico? Di quale “sguardo” mi sto appropriando nello scegliere la prospettiva della prossima foto che condividerò? Attraverso quali parole e sistemi linguistico-semiotici rendo la mia presenza riconoscibile nelle chat o nel web? Quali espressioni mi legittimo nei gruppi di lavoro che non ripropongo nelle mie chat private?

Ancora, chi mi permetto di essere o chi mi obbligo a essere in certe situazioni? chi vorrei essere nei contesti che abito? In che modo mi impegno a mantenere una certa immagine di me davanti agli altri? Cosa mi permetto di fare in certe situazioni che mi impedisco di agire in altre?

Domande che aprono a nuove risposte, e nuove risposte che aprono nuove domande, in un movimento dove le domande diventano non più subite ma agite verso nuovi orizzonti di conoscenza.

Chi è l’autore:
Matteo Mazzucato

Specializzando in Psicoterapia Interazionista.
Opera come consulente psicologo nella libera professione e come formatore nel contesto scolastico insieme all’equipe Snodi Sociali.


Note

[1]Termine filosofico indicante in generale l’eguaglianza di un oggetto rispetto a sé stesso” da http://www.treccani.it/enciclopedia/identita/


Bibliografia

  • Baciga, D., & Fenini, D. (2019). La domanda come strumento di intervento in psicoterapia. Scienze dell’interazione 1-2.
  • Benedetti, C., & Bettini, M. (2016). Oracoli che sbagliano. Dialogo sugli antichi e sui moderni. Effigie.
  • Boccia Artieri, G., Gemini, L., Pasquali, F., Carlo, S., Farci, M., & Pedroni, M. (2017). Fenomenologia dei social network. Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online. ISO 690  
  • Bormetti, M. (2019). #Egophonia: Gli Smartphone fra noi e la vita. Hoepli Editore.
  • Faccio, E., & Salvini, A. (2007). Le identità corporee: quando l’immagine di sé fa star male. Giunti.