Cara Maria Quarato,
rivolgiamo un appello a te che hai credito e ascolto. Riuscirai a far sì che gli psicologi della tua generazione e quelli che seguono, la smettano di chiamare ‘pazienti’ gli uditori di voci e quindi di assimilarli a dei malati? Cosa che continuano a fare anche coloro che a parole dicono di non volerli considerare tali.
Un risultato più ambizioso se riuscirai a modificare negli psicologi che aspirano ad essere innovativi, la tendenza a identificare le ‘diversità della mente’ – che si esprimono attraverso atti, azioni e pensieri, talvolta problematici e devianti negli esiti – con altrettante malattie. Imitando in questo le classificazioni e i generi narrativi propri della medicina biologica senza tuttavia averne gli stessi requisiti empirici e la stessa natura fattuale, a cui non si possono applicare gli attributi di malato e di paziente, logicamente inapplicabili a costrutti di senso, significato, valore e di norma. Ovvero agli aggettivi che ne derivano, poi reificati, che trasformano dei segmenti di comportamento così giudicati ed etichettati in ‘sintomi’. Con il risultato che dietro ogni malattia definita mentale finiscono per intrecciarsi una molteplicità di criteri normativi e semantici, che diventano dei manganelli giustificativi di azioni disciplinanti (repressive o sedative). Infine, trasformare un giudizio normativo in una patologia mentale, trasforma quest’ultima in un connotato sociale d’identità, pervasiva e imposta, denigratoria negli esiti, subita senza contraddittorio e appello, sottratta al potere della persona o ad ogni altra opinione difforme e contraria. Per cui cara dott.ssa Maria Quarato si faccia portavoce di tutti coloro che auspicano la cancellazione del costrutto “paziente/malato mentale” per ragioni di logica-scientifica e per motivi etici. La ringrazio a nome degli psicologi e degli psicoterapeuti che concordano.
ALESSANDRO SALVINI,
già ordinario di psicologia clinica e psicopatologia all’Università di Padova.