L’uso del proprio corpo nell’era del digitale: da pratica rischiosa a palestra interattiva

di Francesca Turco e Stefano Raimondo [1]

Sempre più gli psicologi che lavorano con l’età evolutiva devono fare i conti con nuove prospettive d’intervento, molte delle quali connesse all’uso delle nuove tecnologie da parte dei ragazzi. Sono infatti numerose le preoccupazioni degli adulti, genitori e insegnanti in primis, circa l’utilizzo del web e dei social. Un tema caldo riguarda l’uso che i giovani fanno del proprio corpo on line, in particolare attraverso lo scambio di foto in chat o la pubblicazione di post più o meno espliciti sui profili social.

Come affrontare queste situazioni?

Questa è la domanda che più di frequente si pongono gli adulti e che spesso viene girata nei nostri studi.

Una delle prime reazioni può essere quella di demonizzare gli strumenti digitali e l’acceso a internet, considerato un luogo pericoloso, poco conosciuto e difficilmente comprensibile. Coerentemente l’intervento educativo spesso si concretizza nel limitare la disponibilità oraria ai social, nel ritiro degli smartphone durante le lezioni, nel controllo dei profili o nella diffusione, familiare e scolastica, di vere e proprie campagne preventive in cui sottolineare rischi e criticità dell’esporsi online ed emanare diktat basati sull’evitamento.
Approccio che rischia di impattare nelle relazioni adulto-minore, con la conseguenza di ritrovarsi più lontani.

Salvaguardando l’esigenza di co-costruire un rapporto basato sul saper affrontare le sfide che potranno presentarsi lungo il percorso evolutivo (non solo dei figli), come psicologi interazionisti, poniamo molta attenzione al problematizzare il valore che gli strumenti digitali e la dimensione virtuale possono avere nella vita degli adolescenti, nel loro percorso di crescita e di socializzazione.

La domanda dunque diventa: che cosa se ne fanno i ragazzi del tempo e dell’impegno speso navigando, chattando e postando? Ancora: come si sta usando lo strumento in oggetto?

Il web viene utilizzato come piattaforma sociale in cui mostrare e costruire, in modo spesso meticoloso, una ben precisa rappresentazione di sé, pianificata e selezionata tra le tante possibili, in funzione degli interlocutori che ci si immagina visualizzeranno un certo contenuto. È come se i ragazzi, mostrando certi aspetti della propria vita, rispondessero alla domanda, “chi posso (e chi voglio) essere io per te che mi stai guardando”? Essendo l’immagine uno dei veicoli più utilizzati online, diventa facile comprendere quanto il corpo sia coinvolto in questi processi; la dimensione corporea dell’identità (Faccio, 2007) è proprio quella attraverso cui ci si presenta agli altri, cercando di essere apprezzati, sia online che offline.
Possediamo tanti sé sociali quante sono le persone che ci conoscono e alla cui opinione siamo interessati”, scrive Alessandro Salvini (1998). Questa ricerca di riconoscimento, online, passa attraverso i “mi piace”, i commenti ed i messaggi ricevuti dagli utenti, influenzando il valore che attribuiamo alla nostra immagine e alla nostra identità.

Cosa può comportare, in quanto adulti responsabili del benessere dei più giovani, non contemplare questa molteplicità di aspetti? In primis, non essere considerati come degni interlocutori, riducendo l’effetto di ogni cosa detta loro e divieto imposto.

Va inoltre considerato che oggi gli adolescenti sono nati e cresciuti configurando la dimensione virtuale come luogo “reale” di socialità, nelle cui interazioni sperimentare aspetti di sé diversi da quelli messi in campo vis a vis. Il web regala loro, così come a tutti noi, delle possibilità in più: modellando, filtrando, selezionando la propria immagine è possibile scegliere attraverso quale prospettiva farci conoscere, cosa mostrare e nascondere; così come è possibile ampliare esponenzialmente la propria rete di contatti.
Tutto ciò può giocare un ruolo importante nella costruzione della propria identità: se esistono tante rappresentazioni di sé quante sono le interazioni che intratteniamo, la scelta dei contenuti condivisi sui social può essere decritta come la scelta di molteplici generi narrativi attraverso cui raccontarsi ad ogni “altro” con cui interagiamo (Smorti, 1997), e da cui ci aspettiamo di ricevere certi feedback.

Questi ragionamenti mettono in luce la complessità e la delicatezza di gestire la presenza online dei ragazzi, che non ci si può aspettare rinuncino a queste esperienze di fronte a discorsi che le demonizzano, senza riconoscere il valore che hanno per loro.

Come adulti preoccupati, quindi, che cosa si può fare?

Per essere efficaci è necessario ragionare insieme ai ragazzi, incrementando la loro competenza di anticiparsi ciò che di critico potrebbe succedere, per sé e per gli altri, esponendo la propria immagine in modo non responsabile online, senza stabilire a priori ed in modo univoco quale possa essere la modalità di utilizzo più sicura. Offrire informazioni sui rischi della condivisione di foto e altri contenuti in rete è di per sé certamente utile, ma non sufficiente, così come limitarsi ad impartire sanzioni per episodi critici accaduti, per esempio, a scuola (Faccio ed al, 2017).
Si tratta di rendere i ragazzi protagonisti, dimostrando di riconoscere ed avvalorare l’importanza che questi spazi interattivi hanno per loro, intervenendo non sul piano del “fare o non fare”, ma del “come fare” in modo responsabile, per tutelare se stessi e gli altri utenti (Iudici et al, 2018).

“Il corpo è espressione dei rapporti inter-soggettivi” (Faccio, 2007) offline ed online. Un intervento che voglia parlare il linguaggio dei ragazzi, che possa dirsi efficace, dovrà contemplare il fatto che postare le proprie foto, inviarle in chat o condividere contenuti personali sui social sono tutte forme di interazione, compiute per sperimentare particolari rappresentazioni di sé.
Promuovere un uso competente del proprio corpo non significa quindi evitare le situazioni che lo coinvolgono, bensì imparare a riconoscere che cosa può accadere quando lo si utilizza come strumento di interazione, chi potrebbe essere coinvolto e quali implicazioni potrebbero emergere.

È da questa prospettiva, rivolta alle traiettorie di crescita e di interazione dei ragazzi, che si propone di far ripartire la riflessione tra adulti e soprattutto tra figure educative.


Note:
[1] Dell’equipe Snodi Sociali. Si tratta di un gruppo di psicologi interazionisti che nasce a partire dalla partecipazione e la vincita del Bando Innovazione in Psicologia 2019, indetto dall’Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi del Veneto. L’equipe persegue una mission di promozione della salute, facendo particolare attenzione ai giovani e all’utilizzo degli strumenti digitali. Oltre ad occuparsi di cittadinanza digitale, azioni offensive virtuali ed interazioni online, interviene anche in merito alle tematiche dell’alimentazione, della coesione di classe e dell’efficacia delle relazioni all’interno dei gruppi di lavoro, sia con gli studenti che con i docenti; collaborando gli Uffici Scolastici Territoriali presenti nel territorio veneto.


Riferimenti bibliografici
Faccio E. (2007). Le identità corporee. Giunti Editore.
Faccio E., Iudici A., Turco F., Mazzucato M. & Castelnuovo G. (2017). “What Works for Promoting Health at School: Improving Programs against the Substance Abuse”. Frontiers in Psychology,2017,8:1743. https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2017.01743/full
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5643503/
Iudici A., Faccio E., Rocelli M., Turco F. & Mazzucato M. (2018). Dall’educazione della salute a una scuola competente in salute: storia e sviluppi degli interventi di contrasto alle sostanze psicotrope. Scienze dell’Interazione, 2018 n. 1-2 http://scuolainterazionista.it/wp-content/uploads/2019/02/2018-1-2_6_Iudici_Faccio_Rocelli_Turco_Mazzucato.pdf
Salvini A., (1998). Psicologia clinica. UpselDomeneghini.
Smorti A., (1997). Il sé come testo: costruzione delle storie e sviluppo della persona. Giunti Editore.