Lutto: trauma o snodo biografico?

di Marta Pinto.


Il lutto può essere una categoria patologica da cui è difficile sfuggire e, nelle attese sociali, può diventare un ineludibile destino per molte storie. Dialogando con una di esse, la storia di Annabella, commenterò qui di seguito alcune convinzioni molto diffuse sull’argomento, inerenti un invio ricevuto.

A seguito di un lutto, Annabella mi chiama e dice: “il mio medico dice che devo essere ancora aiutata per superare quello che mi è successo…”.

Ovvero. Quando l’evento diventa un problema….

Infatti il Lutto diventa sostantivo, trascendendo la sua origine attributiva, va a prendersi la scena come oggetto dell’intervento terapeutico; titolo tra i capitoli di una storia recensita da un mondo che pur di curare trasforma tutto in malanno. Come ha detto Alessandro Salvini (2007), le “psicologie cliniche con finalità terapeutiche sono sorte e si sono affermate di fronte all’impossibilità delle discipline diagnostiche di comprendere e modificare le persone dato che affrontano i problemi psicologici depersonalizzandoli, concettualmente, come entità indipendenti dagli attori.”

Educato e contestualizzato, secondo la prospettiva interazionista, il lutto non coincide con la morte né con quella “non più presenza” particolare denunciata dalla persona in studio o da altri. Come è noto, esso è un costrutto culturalmente situato (Aime, 2004). Come ci ha mostrato Le Bretton (2014) è interessantissimo entrare nell’universo di riti, credenze, usi e costumi che organizzano i significati, attribuiti dai gruppi umani sparsi sul pianeta, al tempo della “cessazione dell’attività fisiologica del corpo”.

Pertanto un intervento interazionista, non assume in delega le matrici normative del sentire socialmente educato, non impone né impedisce il lutto, avallandone la complementarità come di facce della medesima paradossale medaglia. Si pensi a quelle immagini televisive che zoomano sulla lacrima che deborda dalla palpebra e scende sulle guance di chi è coinvolto in una “tragedia” e il contemporaneo “non ti preoccupare…non è nulla” della gente che, come faceva mia nonna, si esprime così solo quando è successo qualcosa di grave.

Senza più barcamenarsi tra divieti e concessioni, nella prospettiva interazionista, non c’è oggetto ma soggetto: la persona, il suo racconto particolare e quello specifico modo di raccontare.

Entrando nelle narrazioni di Annabella attraverso “domande di raccolta”, a un certo punto mi dice: “…ma io mi sento serena! cioè è stata una cosa brutta, ho pianto molto, ma penso che va bene così…”

Talvolta l’interazionista procede costruendo con la persona un altro racconto della storia, inedito e utile; talvolta, come in questo caso, non fa nulla se non legittimare la complessità propria che si palesa, laddove la vita sfugge alle categorie prognostiche dell’“eternamente traumatizzato” o dell’“aver superato”, del “dopo un momento di crisi tutto è tornato alla normalità” o dell’“ineludibile crollo”: sotto shock, fuori tempo massimo per l’afflizione, forte-fragile, non risolta!

Compresa la sua situazione, Annabella incalza: “Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare, sono contenta delle scelte che ho fatto. Sin dal terzo mese, secondo i medici la bambina sarebbe dovuta morire da un momento all’altro nella mia pancia, come un aborto, invece è nata, e l’abbiamo chiamata Vittoria per la sua forza. E ho vissuto 5 giorni con lei, che per me sono i più belli della mia vita. Sembra strano lo so, ma 5 giorni! Grazia di Dio!!!

Chi è responsabile di questa “stranezza”? che va ribadendosi nel discorso della mia interlocutrice, come un inchino medievale, unica porta alla censura di sé.

A volte un colloquio consiste nel restare a bocca aperta di fronte ad una storia che non si capisce come possa essersi incastrata dentro il confine stretto di una sola parola: Lutto.

Poi Annabella dice: “cosa devo fare?”
Rispetto a che cosa? viene allora da chiedersi.

Qui tramontano i lumi delle categorie diagnostiche, si spalanca l’ignoto universo dell’Altro e l’intervento può cominciare a prendere forma.

Riferimenti bibliografici
Salvini A. (2007). Nota Normalità/Anormalità, in A. Zamperini, (a cura di), Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze. Einaudi, Torino.
Aime M. (2004). Eccessi di culture. Einaudi, Torino.
Le Breton D. (2014). Il sapore del mondo. Raffaello Cortina, Milano.


Marta_Pinto_psicologa

L’autrice dell’articolo:
Marta Pinto http://martapintopsicologa.it/
Specializzanda in Psicoterapia Interazionista. Si occupa di vari temi clinici, tra cui la gestione del lutto, le separazioni, i conflitti personali, e di problematiche esistenziali. Riceve presso i seguenti studi:
– Via S. Rocco 8, Monteveglio (BO)
– Via Sant’Isaia 24, Bologna